Allontanarsi

Cose da fare:
accumulo, accumulo,
uno spazio indefinito
in cui mi sono perso.
Ho bisogno di andare via
per un po’
per molto o
per sempre.
Abbandono i ricordi,
i bisogni,
le aspettative,
non so più niente,
non voglio più niente.
Per primo
alla radice
rinuncio
a ciò che sono stato,
poiché vivo ancora adesso
e influenzo le mie scelte.
Non ho detto che sia svelto,
anche ora si trasforma
e scivola in poesia.
Sarà che non controllo
quando voglio controllare,
non ci riesco mai, a volte
mi illudo che sia ok. Poi
una volta accade,
così di colpo, e
alzi gli occhi al cielo,
il vento ti tocca le guance,
e ammetti che Dio c’è.
Poi finisce tutto
e ti senti fortunato,
accadrà ancora
se ti spegni.
Svuota le tasche,
preoccupati di te,
il peso che porti
non sa
che può essere un quintale,
quante cose può
essere un uomo:
una sola voce sola
che sbatte nella notte,
l’ultima prima di andare,
almeno io
nasco e muoio ogni giorno.
E tu mi parli di ieri
come se
fossi stato davvero io. No,
io ho abbandonato
gli oggetti e le cose da fare,
il mio sacco adesso è vuoto,
non pesa più nulla oggi.
Lo racconto come un ricordo,
come di una fase
che è stata trasformazionale,
come a dire:
“sono stato anche questo,
ma per fortuna l’ho superato”,
invece in quei momenti
in cui tace tutto
e un qualcosa mi accarezza
sono contento che questo
mi accada ancora e ancora e ancora,
in un gioco sempre nuovo, io invecchio.
Mi allontano, sì non scappo,
lei sa dove trovarmi,
e io ci devo andare.
Non la combatto,
non voglio cancellarla
o tenerla a bada, anzi
ne assorbo ogni momento,
conto ogni battito del mio trip,
fantasticando a volte
su come potrebbe essere
se ne fossi nato senza.
Non voglio quindi guarire
ma ricordarmi di ogni cicatrice,
di ogni notte andata affanculo,
di ogni ansia
spinta dalla pressione venosa,
delle parole scritte
e di quelle perse,
e di ogni sintomo che
nasconde un significato nel profondo.
Voglio tutto questo,
essere parte di una creazione,
e che avvenga pure
col bruciore
agli occhi.