Io
non ho mai
aspettato
l’inverno
eppure affinché arrivasse
ho continuato a strappare le mie
foglie morte
affinché arrivassero come
pelle morta
sospinta in superficie
rimaste lungo queste pareti bianche
una volta riempite di sogni
sagome ingiallite
che reclamano una scomparsa
di storie, di racconti
sbiaditi, unti
consumati
raccontati fino a notte fonda
e poi vissuti
solo per sperimentarne il fascino
vissuti
ad ogni costo
emarginando il resto
lasciando agli altri
la dicotomia della confusione
e della noia
dimenticando
che sono io il terzo escluso
perché la psicoanalisi e lo shampoo
li ho scoperti sempre troppo tardi.
Potrei lasciare che la forma delle cose
mi consumi a poco a poco
urtandomi
mettermi da parte
seduto
ad aspettare il mio riscatto
quello tanto ambito
desiderato
perlopiù impresso nelle pupille
pronte a schizzare fuori in avanti
per la forza
che è servita a stare fermo.
Ma se scrivo…
se scrivo prorompo oltre la porta coi denti
e lascio che i pugni sanguinino per le ferite
getto luce
non sugli altri
ma sul mio stesso futuro
e allora non ho più paura di chi sono:
mi rassegno alla condizione di essere in passaggio
su una terra che non è la mia
né mi appartiene
poiché non possiedo nulla
e nulla mi appartiene
neanche queste ossa
neanche le parole.
Se scrivo
è perché mi abbandono a questo lato
Se scrivo
è perché sono vivo
e un po’ mi dispiace.