La tempesta

Il vento ti suggeriva la mia presenza
e tu te ne accorgesti che ero già nell’aria.
Ti voltasti recitando male la parte di una sorpresa
riconoscesti subito che in me c’era qualcosa
che non apparteneva a questo pianeta.
Riconoscesti quell’odore che hai annusato più e più volte
quando il resto delle parti del tuo corpo
proclamavano una sostituzione
poiché non si sarebbero mai abituate
a una tale assenza di vuoto
che avrebbe pesato sempre a ogni passo.
In me ogni cosa era in tempesta
ma da lì a poche ore
tutto si sarebbe sistemato ancora.
Sarebbe venuta una quiete spaventosa
più di quell’inferno stesso
che si porta via ogni cosa
e lascia solo detriti e carcasse di ricordi.
Combattevo la mia tempesta
ma c’era ancora tempo per mettere da parte le banalità
e lasciarsi andare alla conversazione
quella in cui vince chi abbassa per prima la sguardo
ed ha più storie da raccontare
(perlopiù è uno che dice tante cose
nel minor tempo possibile
in modo divertente
e non troppo complicato)
io naturalmente non ero bravo in nessuna di queste.
Mi domandasti se va tutto bene. Ti dissi di sì ma non ti convinsi.
E forse fu l’aria del mare che continuava a soffiare
che arrivò alle tue narici
che rese le tue parole più basse.
Mi dicesti di avvicinarmi. E la tempesta che era in me
che stava per fare spazio a cose nuove
prese d’ostaggio anche te e i tuoi ricordi.
Arretrasti di un passo
e mi chiedesti di vederci ancora
e nei tuoi occhi – squarci nel ventre
cieli d’ambra riflessi sul mare
una casa bianca
e la mia immagine di chi sono stato mi parla.
A destra mio figlio gioca tirandomi le mani
mi domanda:
«Cosa guardi laggiù?
Qualcuno che conosci?
Chi saluti sorridendo?
Le barche che se ne vanno?»
Ascolta amore mio
laggiù c’è una persona che conoscevo molto bene
siamo stati buoni amici
e come gli amici a volte litigavamo.
Alcuni giorni potevamo contare l’uno sull’altro
e altri giorni ci siamo fatti la guerra, poi
abbiamo fatto un patto.
«Secondo te dove vanno le barche?» Mi domanda.
Le barche sono come le persone:
nascono nel porto
e quando sono pronte
prendono il largo. Alcune di esse
tornano sempre allo stesso porto. Alcune
cambiano sempre. Altre
non fanno più ritorno.
«E dove vanno?» Mi domanda.
Beh può capitare che ci sia una tempesta
e in quel caso potrebbero non tornare
oppure tornano
e sono più forti di prima.
Ci sono barche che sono come le persone,
aspettano la loro tempesta
e quando arriva
cambia sempre tutto.
«Perché allora quelle barche sono ferme
e si lasciano dondolare dal mare
e sono legate?» Mi domanda.
Perché alcune di esse
hanno troppa paura di prendere il largo
e hanno paura della tempesta.
Passano la loro vita a guardare le altre barche
ripetendosi ogni giorno:
– Ancora una
– Ancora un’altra
– La prossima! Poi tocca a me.
E intanto il loro legno marcisce
e nessuno ha più bisogno di loro
perché ormai sono vecchie e malandate.
«Io da grande voglio essere un veliero» Mi dice.
«Uno di quelli grandi con le vele colorate
che non hanno bisogno di niente
se non del vento».
Lo guardo: è piccolo e buffo
arriva a malapena al mio ginocchio
ed ha già capito che cos’è la felicità.
Ho un sussulto
per un attimo il terrore mi assale
presto dovrò lasciarlo andare via.
Mi inginocchio
lo bacio
gli prometto la sua libertà.