Quando un morto cresce
acquisisce forme e dimensioni
e allora spuntano angoli
e rotondità che
vogliono incastrarsi
in altri luoghi
e in altre storie. Lui
non te lo sta chiedendo
ti sta dando un’occasione
Venne l’alba
tra i silenzi
e la luce entrava
violenta
tra le imposte semichiuse
diventando lamette
graffiando il soffitto – «lo sai»
mi dice la penna. Spiegai le braccia
irrigidite pronto ad accogliere
l’universo in crescendo
ma l’enormità dell’inafferrabile tempo che andava
tradiva le sue stesse pulsioni. Poi si arrese
lasciando attorno
terra arida e bruciante
Così guardai il cielo
e decisi di volare
ritrovandomi tra fili d’erba
e nient’altro che asfalto
chili d’asfalto
su asfalto
da ingerire
e digerire
che si ammassava
dentro
formando sculture
di caos e catrame
E ne ho leccata una ad una
fino a consumarne le fondamenta
non ne ho perso neanche un pezzo
E’ ora
mi interrogo sul limite
della barriera che divide
il fragore che suscita
un movimento da quello
in cui niente è percettibile
mi domando
sulla pericolosità di
prevenire la
prossima mossa del caso
e manovrare
come in un teatro di legno e carta
questi corpi che
danzano abbandonandosi
al già noto andare – fragili
inette ossa
costruite di illusioni
mi domando
se c’è fuga dal profondo
o bisogna rassegnarsi
a vivere come talpe – no è che
magari mi organizzo – e spingo
ancora per
scavare ancora
finché il corpo regge
e la mano avrà potenza
mi domando
se le donne annusano i bambini
fumatori incalliti
che respirano veleno
se il tempo ha consistenza
e può essere ammucchiato
in scatole di ricordi
fatte di polvere e dita mozzate
quando i vecchi erano in guerra
e le loro mogli
si concedevano per soldi
spruzzando aria compressa
gettando spiccioli
per fermare il meccanismo
che continua ad andare
nonostante
l’aridità dei sentimenti – febbre
impavida di vita
alba ancora senza ritorno
E’ ora
ormai
ma
non ricordo più
per cosa.